Psicoanalisi e IA: l’anima come algoritmo?
Sempre più forte è la relazione tra l’intelligenza artificiale e l’uomo, basti pensare all’utilizzo dell’IA nelle grandi aziende, nel campo della Sanità Digitale, fino a quello della Privacy e della Sicurezza Informatica. Ma la relazione tra intelligenza artificiale e psicoanalisi è invece possibile?
L’integrazione tra queste due realtà così apparentemente distanti tra loro è una questione affascinante da affrontare, volendo accendere una riflessione su come le due discipline possano, in realtà, interagire e influenzarsi reciprocamente.
A tal proposito ci sarebbe una questione che più delle altre incentiva a fare una disamina di questo lavoro: il curioso e interessante parallelismo che si può tracciare tra la psicoanalisi e l’intelligenza artificiale nella similitudine tra i lapsus freudiani e i bug dei sistemi tecnologici. Entrambi, infatti, sono errori che possono rivelare aspetti nascosti o non intenzionali di un sistema e che possono essere analizzati e interpretati per comprendere meglio il funzionamento del sistema stesso. Questa analogia suggerisce che esplorare le imperfezioni e gli errori può portare a nuove scoperte e a una maggiore comprensione dei processi mentali e informatici.
Prima di entrare nel merito dei pro e dei contro di tale questione però sarebbe bene fare un’introduzione del discorso partendo dall’inizio. Da un lato, sappiamo come la psicoanalisi (la cui nascita avvenuta nel 1895 attribuiamo a Freud) si concentri sull’analisi e comprensione dei processi mentali, delle emozioni e dei comportamenti umani, dall’altro l’intelligenza artificiale miri invece a replicare e potenziare le capacità cognitive umane attraverso sistemi e algoritmi computazionali. I due ambiti possono quindi trovare punti di convergenza e applicazioni interessanti, come ad esempio l’uso dell’intelligenza artificiale per analizzare grandi quantità di dati clinici e aiutare nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi mentali. Di seguito sono elencati quelli che possono essere considerati i punti di forza e i limiti di questo rapporto.
I primi si concentrerebbero sulla possibilità di combinare le conoscenze e le competenze delle due discipline per sviluppare nuove strategie diagnostiche e terapeutiche più efficaci. Ad esempio, l’uso di algoritmi di machine learning per identificare pattern nei dati clinici e predire il rischio di sviluppare determinati disturbi mentali potrebbe essere estremamente utile per i professionisti della salute mentale. Oppure, nel campo della terapia digitale l’IA può supportare il lavoro dei terapeuti nella diagnosi e nel trattamento di quegli stessi disturbi. Tuttavia, ci sono anche dei limiti nella relazione tra psicoanalisi e intelligenza artificiale. La psicoanalisi si basa su concetti complessi e sfumati come l’inconscio e le dinamiche relazionali, che possono essere difficili da modellare e replicare in un sistema artificiale. C’è sia il rischio che l’intelligenza artificiale possa ridurre la complessità dell’esperienza umana a semplici algoritmi e perdere di vista la ricchezza e la profondità della psiche umana nella sua soggettività, sia che possa finire col delegare troppa responsabilità alla tecnologia trascurando l’importanza dell’empatia e della relazione terapeutica nell’aiutare le persone a superare i loro problemi psicologici.
Secondo una ricerca molti degli impieghi lavorativi (impiegati, cassieri, assistenti statistici, operatori di telemarketing) saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale. Inoltre, l’uso indiscriminato dell’IA nei contesti clinici potrebbe sollevare preoccupazioni etiche riguardo alla privacy dei dati e alla sicurezza dei pazienti.
Bisogna anche sottolineare come, nonostante i progressi nella tecnologia, è improbabile che l’intelligenza artificiale possa sostituire completamente un terapeuta umano nella pratica psicoanalitica per via di alcune caratteristiche essenziali che non possiede, quali mancanza di empatia, capacità di comprensione emotiva e pensiero soggettivo. Adesso bisognerebbe chiedersi: si è davvero pronti a correre questo rischio?
Dott. Davide Calabrò
dr.davidecalabro