Giovani oggi tra ansia e apparenza
Negli ultimi anni, si sono registrati, soprattutto tra i più giovani e in maniera sempre più frequente e preoccupante, episodi legati a stati di ansia con tutto ciò che esso comporta. Gli adolescenti di oggi, ma il discorso si può estendere anche bambini più piccoli, sono il terreno fertile per una società che costantemente domanda loro di scegliere tra il dover essere e il dovere apparire. I due aspetti risultano profondamenti collegati e il binomio ansia/apparenza è una costante nel mondo occidentale di oggi in cui sembra che, più riesco ad apparire, meno difficoltà ho nel pensarmi in relazioni distanti da me e che in qualche modo non mi fanno sentire appagato. Come se l’apparenza fosse un rimedio, una protezione da ciò che provoca ansia. Nulla di più lontano dalla realtà. Prima di entrare nel merito di tale questione vorrei un attimo fare una breve introduzione di cosa sia l’ansia e in che modo essa influisca nella quotidianità.
L’ansia è un’emozione complessa che può manifestarsi in risposta a situazioni percepite come minacciose o stressanti. È una reazione normale e naturale che fa parte dell’esperienza umana e può svolgere un ruolo protettivo, aiutandoci a affrontare situazioni difficili o a prendere decisioni. Tuttavia, quando l’ansia diventa eccessiva o persistente nel tempo, può trasformarsi in un “disturbo d’ansia”, che può interferire significativamente con la vita quotidiana tanto da renderla difficile e soffocante.
Una volta analizzato, seppur per sommi capi, cosa sia l’ansia, occupiamoci per un attimo dell’altro polo del nostro ragionamento, quello relativo al modo in cui in cui gli esseri umani si percepiscono. Esso ha radici lontane e remote ed è cambiato con i tempi, se analizzassimo la generazione dei nostri nonni, per esempio, emergerebbe come l’adolescente (colui che diventa adulto) di quei tempi era in balia di responsabilità così grandi che l’unico modo per poterle affrontare era…viverle.
Oggi sembra invece essersi intensificata la domanda performativa dei genitori sui figli, ai quali chiedono di essere perfetti, completi, unici. E questo, alimentato dai social e dalla loro idea di immagine perfetta, circoscrive ai giovani una sola possibilità: apparire al meglio.
L’ansia del “dover apparire”, dunque, è un sentimento “nuovo” e proprio di un mondo in cui la percezione sociale e le aspettative altrui possono avere un forte impatto sulla nostra vita e sul modo in cui percepiamo. Questa ansia può manifestarsi in vari contesti, come il lavoro, le relazioni sociali e l’uso dei social media, dove c’è una pressione costante sul doversi presentare in un certo modo per potere essere accettati dagli altri.
Chi oggi domanda di esser visto, infatti, sono quei giovani che, per qualche ragione, sembrano non avere mai sperimentato l’esperienza dell’assenza. Come se “sparire” non fosse più concesso ma, al contrario, questo alimentasse ancor di più l’aspettativa che loro stessi hanno di sé e del mondo. Quindi la domanda dalla quale bisognerebbe partire è: se non appaio, cosa resta di me?
Secondo una ricerca, un’astinenza coatta dai social network porterebbe alla formazione di sintomi quali: ansia e irritabilità, umore depresso, sentimenti di tristezza o malinconia (quando ci si sente esclusi o disconnessi dagli altri), difficoltà di concentrazione, insonnia (problemi a dormire, spesso causati dal desiderio di controllare le notifiche o i feed di notizie), sensazione di isolamento, perdita di interesse per altre attività e fatiche emotive ovvero un aumento delle emozioni negative, come la paura di starsi perdendo qualcosa (FOMO).
Da quanto detto, emerge chiaramente come i giovani oggi vivono maggiormente situazioni legati all’ansia per le diverse congiunture (genitoriali, sociali, tecnologiche) in cui sono immersi.
Sarebbe pretenzioso, vista la brevità di questa riflessione e la complessità della questione, indicare soluzioni a poco prezzo a un problema così grave e importante, dunque, l’unica cosa che è possibile fare è provare a innescare ulteriori e più articolate riflessioni.
Ecco perché vorrei concludere questo articolo con alcune domande aperte: che non sono rivolte ai giovani che vivono nel presente che li tiene incatenati a sé e allo stesso tempo non permette loro di vivere realmente per come vorrebbero. Sono rivolte agli adulti, ai genitori, agli educatori, agli insegnanti e tutti coloro che lavorano quotidianamente con i giovani e vedono le loro fragilità e le conseguenze che l’ansia ha sulla loro quotidianità. Che tipo di strumenti stiamo, o non stiamo, fornendo a queste nuove generazioni davanti alle sfide che il mondo gli propone? Ha senso continuare a perpetrare il primato dell’apparire sull’essere, colpevolizzando i ragazzi di un modo di vivere che noi sosteniamo e incoraggiamo? Verso quale futuro andiamo?
Dott. Davide Calabrò
dr.davidecalabro